venerdì, aprile 15, 2011

Ponte antico di Casteneda (detto anche di San Bortolo)


Il fiume Chiampo, fin dall'antichità, è stato determinante per la storia, l'economia, l'ambiente e lo sviluppo della città di Arzignano.
Prima l'agricoltura, poi gli opifici e in particolare le concerie hanno vissuto e prosperato grazie alle acque che abbondanti scendevano dall'Alta Valle.


Il corso d'acqua scende diritto e ben arginato attraversando Arzignano da Ovest a Sud, separando le frazioni di San Zeno e San Bortolo, sulla destra orografica, dal resto del territorio comunale. La sezione idraulica sufficientemente ampia e la moderata pendenza sono tali da
garantire per Arzignano un buon livello di sicurezza dalle piene.


Il collegamento del cittadina con le pianure e le colline più ad ovest, attraversando il corso d'acqua, in direzione di Verona, è sempre stato un nodo importante per la viabilità e la mobilità di
uomini, merci e bestiame.
Oggi i ponti in terrritorio di Arzignano sono ben tre, uno presso l'imbocco della Zona industriale, una nei pressi del centro verso la frazione di San Bortolo ed il terzo più a monte verso la frazione di San Zeno.

Proprio nei pressi del ponte centrale, in direzione di San Bortolo, rimangono visibili i resti di un vecchio ponte in pietra, con due archi ribassati, con l'archivolto costituito da una ghiera di cunei
ancora ben visibili, a monte e a valle. La regolare successione dei cunei rettangolari, o appena un poco di forma trapezia, è in parte sbrecciata ed erosa dalla forza delle piene. Le due volte sono
sorrette da manufatti in calcestruzzo a protezione dell'opera. Colpisce la regolarità e la maestria nella posa delle pietre, a file parallele, che costituiscono il fondo del ponte. Rinfianchi e
piedritti sono andati perduti o giacciono interrati nel fondo dell'alveo. Il ponte è costruito in pietre calcaree rigorosamente bianche diverse dalle pietre e dai massi del fondo, che sono in parte
costituite da rocce vulcaniche (il tipico "sasso moro").
La tradizione lo assegna al periodo romano ma anche gli storici sono concordi.
Durante lavori di scavo, effettuati alla base dell’arcata a monte, furono trovati pali infissi attribuiti ad epoca romana.
Ad ogni piena il fiume porta via qualche pezzo e sarebbe certamente interessante uno studio storico-archeologico dell'opera, prima che l'acqua e il tempo cancellino le tracce del nostro passato.

E' interessante l'immagine, messa a disposizione dall'Arch Silvana Poli, di un piccolo quadro ad olio dei primi del novecento, che porta la firma di Girolamo Zlliotto di Arzignano e di proprietà della famiglia Poli Angelo, che raffigura la vecchia Casa Carlotto ed il ponte.
Si vede come il ponte di allora era stato costruito più a monte rispetto l'attuale, ma non è chiaro se sopra il ponte romano o poco oltre.

mercoledì, agosto 19, 2009

Sentiero Blu: Parco dello Sport, San Bortolo, Prianti, via Baeti, Croce del Gallo, via Zini, San Zeno

Il sentiero blu, lungo 10 km, dal Parco dello Sport sale a San Bortolo, di qui per via Prianti
fino al Segan e poi lambendo il confine comunale sale ancora fino alla Croce del Gallo, per poi discendere per strade bianche e sentieri attraverso contrà Marana, contrà di Mezzo fino a San Zeno e poi di nuovo al Parco dello Sport.



Si tratta di un percorso facile, ma la lunghezza lo rende adatto a quanti sono disposti a camminare per più di 3 ore su un percorso misto, fatto di tratti asfaltati, strade bianche, sentieri sassosi e prati. Il sentiero è in taluni punti sempre bagnato e fangoso, pertanto si consigliano scarponi o scarponcini da treeking.

Da molti anni ormai l'ANA Valchiampo si prende cura del percorso natura che a partire dal Gelso del parco dello Sport attraversa il parcheggio destra Chiampo e sale di qui fino alla Chiesa di San Bortolo in circa 15 minuti di cammino. E' rapido il passaggio dal rumoroso centro cittadino al rilassato versante collinare, dove il frinire delle cicale sui rami degli alberi si interrompe bruscamente al passaggio del camminatore.

Proseguendo per via San Bortolo si gira intorno all'antica chiesa e proseguendo poi in via Lipari ci si inoltra infine nei campi, contornati da pioppo bianco, ontano, salice, robinia e acero campestre.
Si ritorna poi sulla strada asfaltata, incontrando a 30' dalla partenza il bivio per contrà Orsola. La salita si fa più ripida ed incuriosisce la presenza dei vecchi paracarri in pietra, posti qui artificiosamente a decorare una proprietà privata.

Il tempo qui ha preservato i segni del secolo scorso ed ecco infatti in contrà Prianti un antico forno per il pane, usato ancor oggi di quando in quando. Son passati 50 minuti e finalmente si trova una fontana dove rinfrescarsi un poco.




Pochi minuti ancora e si arriva alla chiesetta dedicata alla Regina Pacis (Via Segan).



Il percorso prosegue girando attorno ad una villa con meridiana e salendo poi piano piano lungo via Baeti. La vegetazione si fa via via più fitta ed accanto al nocciole, alla robinia, agli aceri campestre e di monte si affermano i castagni tra i sambuchi.


Il terreno è poco profondo, con l'affioramento della roccia vulcanica dove trovano l'ambiente giusto per crescere gli ornielli, l'acero, il biancospino e la robinia. Gli scoiattoli sono numerosi e le loro sagome nero-brune corrono da una parte all'altra del sentiero come rapide ombre a svanire tra i rami. Il bosco s'infittisce e si gode la frescura nel pieno d'agosto. Il sottobosco è ricco di felce aquilina, edera elix, parietaria e nocciolo.




Ad un'ora e mezza dalla partenza arriviamo alla "Croce del Gallo", ai confini di Arzignano: un ceppo a pochi metri segna il passo tra l'Arzignano boscosa su questo lato e i ciliegi di lunga data sul versante di Roncà. La salità è ormai finita e qualche centinaio di metri in falso piano con poca salita conducono al capitello di San Camillo prima di iniziare la discesa. Siamo nel paradiso dei cacciatori, con le postazioni curate e nascoste tra i cespugli di Lauro, su piazzole di caccia protette da recinti e carrarecce sbarrate, a poche decine di metri l'una dall'altra.




La discesa dopo poco meno di due ore dalla partenza è rapida, lungo un viale di tigli su strada sterrata. Ancora scoiattoli e castagni a caratterizzare l'habitat di collina vulcanica. Arrivati sulla strada asfaltata occorre salire ancora per circa 100 metri, rpima di trovare il bivio con il sentiero che riprende a scendere e, finalmente, una panchina dove riposarsi.



Il bosco di castagno è ricco di specie curiose: la felce dolce, con le sue radici gustose che sanno un po' di liquerizia ed hanno proprietà di lassativo e colagogo, espettorante, antitussigeno e vermifugo. Non è l'unico rimedio erboristico che si trova oggi nell'area: pochi passi ed ecco l'achillea millefolium, la silene (stridoli o carletti), le plantago per le insalate, l'erba celidonia per curare i porri e le verruche, l'ortica per i risotti e le minestre, l'ipperico dai mille usi (analgesico, antisettico e antireumatico), e poi le gustose more di rovo, mature in questa stagione.




Occorre di qui in poi fare molta attenzione al sentiero, non sempre visibile e soprattutto agli improvvisi cambi di direzione, segnati dai cartelli che possono sfuggire ad uno sguardo distratto.


Il sentiero scende deciso verso San Zeno e incuriosisce l'improvviso affiorare di rocce bianche, tra i "Sassi mori" che ci hanno accompagnato per tutto il percorso: è uno strato di rocce carbonatiche biancastre incluso nella matrice di rocce vulcaniche che domina il versante. Eccoci tornati tra le strade e le piazze di Arzignano, lasciate alle spalle le colline ricche di natura e cultura contadina, sempre pronte ad accompagnarci nelle rilassate passeggiate di stagione.

sabato, marzo 01, 2008

Indice degli articoli

Le Rotte del Guà
Villa Montanari-Carlotto in via Busa
Lo spino di Giuda di Riotorto, la grotta smarrita ...
Segan, capolavoro di paesaggio
Da "Monte Galda" a San Marcello
Dal Segan al Pereo
Borgo Vallaro alto
I grandi alberi di via Baeti e i castagneti del Se...
Cava del Main
Castagneti della Calvarina
Valletta dei frassini e ontaneta di via Zini
Che fine hanno fatto i grandi alberi?
Pozze d’acqua e aree umide
Fossi di Tezze
Val del Ceredo
La cascata segreta di Pugnello
Un albero raro a San Bortolo
San Marcello
La pineta di Arzignano
Boschi di Castello
Colle di San Matteo al Castello
Bagolaro di via Costa a S.Bortolo
Crollo di un gigante
Puliamo il mondo: quest’anno l’acquedotto romano!
Val del Borlo
Ippocastano di via Bettega
Sul tetto di Arzignano
Contrà Schenato
Rovereto di Costalta
Valbruna
Alberi per la memoria
Boschi a nord di Restena
Monte di Pena
Il bosco dei bagolari
Villa Ziggiotti-Salviati
Cosa resta dei pioppi monumentali
I boioni di Restena
A Pugnello almeno tre tipologie forestali
Boschi di via Cavallaro
Bosco di Costalta
Alberi monumentali

Ulteriori utili informazioni dal punto di vista naturalistico sono contenute nell’indagine agronomica del Piano di Assetto del territorio:
Relazione - Indagine Agronomica Arzignano

pdf (679 Kb)


All. 4.1 - Clima e rapporti con la vegetazione

pdf (1.939 Kb)


All. 4.2 - SAU Superficie agricola utilizzata e trasformabile

pdf (125 Kb)


All. 4.3 - Aree rilevanti dal punto di vista paesaggistico e ambientale

pdf (9.254 Kb)


All. 4.4 - Alberi rilevanti Comune di Arzignano

pdf (17.878 Kb)


Tav. 5.1 - Superficie Agricola Utilizzata

pdf (18.281 Kb)


Tav. 5.2 - Classificazione agronomica dei terreni

pdf (12.406 Kb)


Tav. 5.3 - Carta dei boschi e delle colture agrarie

pdf (18.202 Kb)


Tav. 5.4 - Reti ecologiche e sistema ambientale

pdf (12.233 Kb)

lunedì, marzo 12, 2007

Le Rotte del Guà





Ad Arzignano tutti sanno dell'esistenza delle Rotte del Guà, ma la conoscenza dell'area per la maggior parte dei cittadini si limita a quanto si può vedere dal ponte delle Tezze. Soltanto negli ultimi 2-3 anni la realizzazione della rete delle piste ciclabili ha portato molte persone a scoprire la ricchezza paesaggistica enaturalistica dell'area. Si tratta di un grande invaso di circa 100 ettari di superficie, formatosi in seguito alla rottura degli argini del Guà, donde il nome "Rotte", rovinosamente avvenuta nei primi anni del '900. L'acqua invase la pianura circostante e ricoperse il terreno di una coltre di detriti alluvionali. Si formò così una naturale "cassa di espansione", sviluppata parte nel territorio del comune di Trissino, parte nel territorio di Arzignano. Nel tempo l'area rimase semi abbandonata e ritrovò il suo equilibrio con la formazione di particolari habitat tutti molto interessanti dal punto di vista naturalistico. In basso un'ampia zona di prati aridi, solo in parte coltivati, poi la grande briglia centrale e sopra un'area umida, il bosco planiziale, le siepi, lo stagno.



In particolare vorremmo fissare l'attenzione sull'area all'interno del comune di Arzignano, sicuramente meno appariscente dell'area di Trissino, ma non meno importante per diversi motivi. Le Rotte si trovano in un contesto agricolo ben conservato, con splendidi filari di gelso che si stagliano sul piano coltivato a seminativo e prato temporaneo. I filari in lontananza lasciano intravedere gli aceri maritati con le viti, come d'antica usanza. Qualche pioppo si staglia e interrompe le precise geometrie degli spazi. La campagna è stretta tra il fiume da un lato, la strada e l'area urbanizzata dall'altro.




All'interno dell'alveo nel tratto arzignanese vi sono pochi alberi. Un bell'esemplare di Prunus spinosa, con la sua esplosione bianca di fiori a segnalare la primavera, ospite di migliaia di api con il loro ronzare laborioso alle prime ore calde di sole. Vi sono poi due grandi pioppi, al centro della prateria, e un filare di gelsi, residuo dell'antica pianura vicino all'argine orografico destro.





Gli argini ospitano cespugli di Pruno selvatico (Prunus spinosa), Biancospino comune (Crataegus monogyna), Rosa selvatica comune (Rosa canina), Fusaria comune (Euonymus europaeus), Corniolo sanguinello (Cornus sanguinea) e qualche sporadico olmo campestre (Ulmus minor) con l'immancabile robinia (Robinia pseudoacacia). La prateria è un trionfo di graminacee, euforbie, leguminose, ombrellifere, che hanno occupato aree localmente più fresche o più aride, a seconda della vicinanza col corso d'acqua o la relativa maggior sopraelevazione. Sono state censite nel corso delle stagioni più di 100 specie vegetali, dalle specie tipiche delle zone umide come Cannuccia di palude (Phragmites australis), Lisca maggiore (Typha latifolia), Carici (Carex sp. pl.), Lisca (Scirpus sp. pl.), Ranuncolo acquatico (Ranunculus aquatilis) fino alle specie tipiche delle praterie aride. Certamente ad occhio non allenato sembra un'unica prateria monotona e informe, quando invece essa ospita una gran verietà di specie, che a loro volta nutrono e ospitano innumerevoli specie di insetti (ortotteri, coleotteri, imenotteri, lepidotteri). Non mancano i mammiferi, con il tasso(Meles meles), il riccio (Erinaceus europaeus), la volpe (Vulpes vulpes), la donnola (Mustela nivalis), la faina (Martes foina) e gli avvistamenti sporadici del capriolo (Capreolus capreolus). Poi gli anfibi e i rettili: Rana verde (Rana esculenta), Raganella italica (Hyla intermedia), Rospo smeraldino (Bufo viridis), Rospo comune (Bufo bufo); Natrice tassellata (Natrix tessellata) e dal collare (Natrix natrix), Saettone (Elaphe longissima), Biacco (Coluber viridiflavus), Lucertola muraiola (Podarcis muralis), Ramarro occidentale (Lacerta bilineata) e Orbettino(Anguis fragilis). Gli animali senz'altro più facili da vedere e da osservare sono gli uccelli, soprattutto nel periodo primaverile e autunnale, quando le migrazioni portano numerose specie a fermarsi qualche ora o qualche giorno o talora a nidificare nascosti nell'erba o tra i cespugli. Si tratta di circa 130 specie, di cui 58 nidificanti, molti Limicoli, Trampolieri, Anitre, Falchi; ricordiamo: Marzaiola (Anas querquedula), Moriglione (Aythya ferina), Alzavola (Anas crecca), Codone (Anas acuta), Totano moro (Tringa erythropus), Pettegola (Tringa totanus), Pantana (Tringa nebularia), Beccaccino (Gallinago gallinago), Piro piro boschereccio (Tringa glareola), Airone cenerino (Ardea cinerea), Nitticora (Nycticorax nycticorax), Airone rosso (Ardea purpurea), Lodolaio (Falco subbuteo), Falco pellegrino(Falco peregrinus), Nibbio bruno(Milvus migrans), ecc.
Per la maggior parte dell'anno il corso è ricco d'acqua e sono presenti pesci come la Sanguinerola (Phoxinus phoxinus) e la Trota fario (Salmo trutta trutta).
Certamente l'area fluviale di Arzignano non va considerata a se stante, ma un continuum con il territorio trissinese dove si trova la parte più grande delle Rotte e senz'altro più suggestiva.


Il Consorzio di bonifica Riviera Berica sta ultimando, per conto del Genio Civile di Vicenza, competente sull'asta fluviale del torrente Agno-Guà, un progetto di intervento sull'intera area con un abbassamento complessivo dell'alveo del fiume di circa 3 metri in media, con il contestuale abbassamento degli argini e l'allargamento degli stessi fino a circa 10 metri di larghezza in taluni punti. I lavori dovrebbero essere svolti nell'arco di 5 anni, con la creazione di tre grandi aree che funzioneranno da casse di espansione e da bacini idrici regolati da briglie filtranti per contenere le ondate di piena e salvaguardare i paesi più a valle, specialmente da Cologna Veneta in giù. Naturalmente c'è la preoccupazione che l'intervento danneggi l'equilibrio che la natura ha raggiunto nell'area, ma i tecnici del consorzio assicurano che verranno prese tutte le precauzioni per tutelare l'ambiente. Intanto all'interno del vecchio alveo, che si può ancora osservare a ridosso dell'argine orografico sinistro, con il vecchio argine rotto e interrotto in più punti, si vedono già i primi scavi, fatti forse per sondare la qualità dei materiali che certamente possono fare gola, trattandosi di milioni di metri cubi di ghiaia ed inerti. Ci auguriamo che la perizia e la saggezza degli uomini almeno in questo caso non siano travolte dal mero interesse economico.
Nel territorio arzignanese le Rotte si uniscono ai vicini "Fossi di Tezze", che a loro volta potranno costituire con l'area del Bosco di Costalta, Villa Salviati e i Boioni di Restena una grande ininterrotta area di interesse naturalistico da preservare, area di sosta e di riproduzione per numerose specie, magari con la realizzazione di un grande parco naturale comunale, polmone verde e patrimonio vivibile per tutta la città.

Villa Montanari-Carlotto in via Busa




Entrando ad Arzignano da Montecchio Maggiore, passato il "ponte della Marelli", si osserva sulla destra un'ampia area agricola rimasta pressoché intatta. Si tratta del complesso agricolo di Villa Montanari-Carlotto, conosciuta anche come Villa La Busa, perchè i campi si trovano in un'area leggermente depressa rispetto ai campi sovrastanti più a nord. Al centro della busa si trova la villa, ricostruita tra il 1676 e il 1704 sui resti di un ancora più antico complesso rurale risalente al 1400. La tenuta presenta seminativi e prati temporanei, circondati da fossi che provvedevano all'irrigazione per sommersione dei campi e dei prati, accompagnati da filari di gelsi e qua e là da pioppi maestosi, di cui rimane qualche traccia nei pochi esemplari rimasti. E' un esempio di paesaggio rurale "nobiliare", legato cioè alla presenza di una ricca famiglia possidente che faceva coltivare la terra raccogliendo tutte le attività agricole negli edifici adiacenti alla villa: la corte con il porticato rustico su due lati, la torre colombara, l'abitazione dei signori, le stalle e gli annessi per le diverse operazioni agricole.







Gli accessi alla villa sono adornati da statue mitologiche in pietra di Vicenza. La suggestione dei luoghi è disturbata soltanto dal rumore della provinciale, a ricordare la lontananza tra il mondo agricolo e il mondo post industriale-tecnologico che su vari fronti tende a travolgere e cancellare inesorabilmente ciò che resta del primo.